Quello che scrivo non vuole essere un’accusa “politica”. Non sono un’esperta, né un’infettivologa. Sono semplicemente una donna che lavora per il SSN dal 1987.
Le mie sono considerazioni, riflessioni e deduzioni legate a fatti ed eventi recenti e documentati. Sono valutazioni etiche e morali che vanno oltre la ferrea e troppo spesso “fredda” e “frettolosa” lettura di norme e leggi.
Ho visto i decreti del governo “adattarsi” all’andamento del flagello che ci ha colpito.
Le misure dovrebbero mirare a “contenere” la diffusione e i danni di una malattia che si è dimostrata spietata e subdola.
E le misure, pur nell’emergenza, dovrebbero essere “previdenti” e lungimiranti, credo, riferite ad azioni che riguardano tutte le persone e la vita e la salute e i diritti tutti di ogni persona.
Le misure dovrebbero essere rispettose della nostra Costituzione che difende i “diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”.
Tra questi la salute come “fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”, con la precisazione che “la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
Credo che la fretta, l’inosservanza di quella che chiamano la “diligenza del buon padre di famiglia” e la distrazione abbiano portato a non ascoltare la voce proprio dei singoli e delle formazioni sociali coinvolte nel percorso di cura della malattia.
Mi riferisco alle persone sul campo, a ognuno dei professionisti della salute, ai sindacati di medici, infermieri, tecnici coinvolti nella cura quotidiana, in una lotta combattuta con sudore, lacrime e talvolta rassegnazione. È gente questa che non sta in cattedra, gente che ogni giorno rischia veramente perch progressivamente è stata disarmata.
D.L. 23 febbraio 2020 n. 6, Art. 1 c. 2, lettera h) prevedeva “ l’applicazione della misura della quarantena con sorveglianza attiva agli individui che hanno avuto contatti stretti con casi confermati di malattia infettiva diffusiva”.
6 marzo 2020 – In molti, tra cui il presidente del Veneto Luca Zaia, denunciavano la propria preoccupazione per l’alto numero di positivi per COVID-19 tra i professionisti della Sanità: “Abbiamo 450 persone del mondo della sanità che sono in isolamento fiduciario, stanno a casa, non possono lavorare e non sono positivi. Per questi ho chiesto più volte al ministro, al Governo e al presidente del Consiglio la possibilità di riconoscere e dare a loro la possibilità di lavorare. Penso e spero che questo problema si risolva, altrimenti svuotiamo il mondo della sanità dagli operatori. […]
Si dia ai medici la possibilità di poter operare anche se rappresentano dei contatti con persone positive. Non possiamo mettere in isolamento fiduciario i medici per 14 giorni”.
Veniva proposta la presenza “volontaria, garantendo tutta una serie di attività come il tampone quotidiano dei sanitari negativi, ma anche di quelli che hanno avuto l’evenienza o un contatto con un positivo. […] I negativi asintomantici, che sono i nostri angeli, non sono solo i medici ma tutti gli operatori della sanità”.
Al governatore faceva eco il professor Andrea Crisanti, direttore dell’unità operativa di Microbiologia e Virologia dell’Azienda Ospedaliera di Padova: ”Un’autentica follia: di questo passo rischiamo di dover chiudere i reparti”.1
Arriviamo così al D.L. 9 marzo 2020, n. 14 che all’art. 7 prevede che “La disposizione di cui all’art. 1, c. 2, lettera h), del decreto legge 23 febbraio 2020, n. 6 non si applica agli operatori sanitari e a quelli dei servizi pubblici essenziali che vengono sottoposti a sorveglianza. I medesimi operatori sospendono l’attività nel caso di sintomatologia respiratoria o esito positivo per COVID-19”.
Traduzione: l’operatore sanitario che, pur avendo avuto un contatto stretto con un positivo a COVID-19, ha tampone negativo, rimane al lavoro sino a quando non presenta problemi respiratori o esito positivo al tampone.
Si decide questo nonostante il Ministero della salute nel proprio sito stimi che il periodo di incubazione vari fra 2 e 11 giorni, fino a un massimo di 14 giorni.
In questo lasso di tempo anche un asintomatico può infettare. Se si tratta di un operatore sanitario può contagiare pazienti e colleghi.
Nel frattempo quindi sale a circa 6.400 il numero degli operatori sanitari contagiati e questo numero rappresenta coloro che sono stati sottoposti a tampone.
Quanti saranno i non testati perché asintomatici?
Quale il numero di pazienti contagiati involontariamente nelle stesse strutture sanitarie?
E ora si parla di task force di infermieri volontari, si richiamano dalla pensione proprio le persone che potrebbero essere più sensibili al virus, si pensa di chiamare alle armi ogni neolaureato in medicina.
Lo ripeto: non sono un’esperta, né un’infettivologa. Sono semplicemente una donna che lavora per il SSN dal 1987.
Ma mi sento di dire che il rispetto della salute di tutti e l’applicazione dell’unica arma possibile ossia l’ISOLAMENTO in QUARANTENA di ogni persona, familiari, colleghi, sanitari compresi, forse avrebbe dato risultati diversi.
Forse tutelando i diritti costituzionali dei singoli si sarebbe potuto tutelare meglio la collettività…
Le strutture sanitarie e gli operatori stessi stanno diventando luoghi e veicoli di infezione, questa la “denuncia” di 13 medici del Papa Giovanni XXIII di Bergamo, pubblicata sul New England Journal of medicine:
“Western health care systems have been built around the concept of patient-centered care, but an epidemic requires a change of perspective toward a concept of community-centered care. What we are painfully learning is that we need experts in public health and epidemics, yet this has not been the focus of decision makers at the national, regional, and hospital levels. We lack expertise on epidemic conditions, guiding us to adopt special measures to reduce epidemiologically negative behaviors”. 2
“I sistemi sanitari occidentali sono stati costruiti attorno al concetto di assistenza centrata sul paziente, ma un un’epidemia richiede un cambio di prospettiva verso un concetto di assistenza centrata sulla comunità. Quello che noi stiamo dolorosamente apprendendo è che abbiamo bisogno di esperti in sanità pubblica ed epidemie, eppure non è così per l’attenzione dei decisori a livello nazionale, regionale e ospedaliero. Ci manca competenza su condizioni epidemiche, competenza che ci guidi ad adottare misure speciali per ridurre epidemiologicamente i comportamenti sbagliati”. 2
“For example, we are learning that hospitals might be the main Covid-19 carriers, as they are rapidly populated by infected patients, facilitating transmission to uninfected patients. Patients are transported by our regional system,1 which also contributes to spreading the disease as its ambulances and personnel rapidly become vectors. Health workers are asymptomatic carriers or sick without surveillance; some might die, including young people, which increases the stress of those on the front line”. 2
“Ad esempio, stiamo imparando che gli ospedali potrebbero essere i principali vettori di Covid-19, poiché sono popolato rapidamente da pazienti infetti, facilitando la trasmissione a pazienti non infetti. Pazienti sono trasportati dal nostro sistema regionale, che contribuisce anche a diffondere la malattia poiché le ambulanze e il personale possono diventare rapidamente vettori. Gli operatori sanitari sono portatori asintomatici o malato senza sorveglianza; alcuni potrebbero morire, compresi i giovani, e questo aumenta lo stress quelli in prima linea”. 2
1 https://www.ilgazzettino.it/video/nordest/coronavirus_medici_veneto_zaia-5094853.html.
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