“Lavoravo nel settore del turismo. L’azienda iniziò a farmi mobbing dopo alcuni mesi dalla mia comunicazione di una seconda gravidanza, con una scusa banale: una contestazione di uso improprio del computer aziendale, cosa dimostrata non vera.
Dopo il parto, quando sarei dovuta rientrare, mi obbligarono a prendere tutte le ferie a disposizione, anche se non era assolutamente obbligatorio e avrei potuto usufruirne all’occorrenza, visto che avevo un bimbo di pochi mesi.
Al rientro, stabilito da loro, mi allontanarono dagli uffici, posizionando la mia scrivania nel retro di un archivio, togliendomi ogni ruolo e ogni mansione.
Sulla carta avevano “creato” un ruolo ad hoc per me, ma nel concreto quel lavoro non esisteva.
Lì sono stata per due anni, senza fare quasi nulla.
Non avevo nel luogo di ultima destinazione rapporti con molti colleghi, se non un paio. Quelli che incontravo nei paraggi dell’ufficio mi ignoravano.
Fin da subito mi venne una forte depressione che mi costrinse a psicofarmaci e a visite periodiche con psichiatri specializzati.
Feci anche un percorso di 6 mesi con il centro antimobbing della mia città.
Le giornate erano lunghe, interminabili. Per quanto volessi impegnare la mente, dedicarmi ai miei bambini, lo sconforto, l’ansia e la solitudine la facevano da padrone.
Tutta la mia vita sociale era cambiata.
A casa il mio nervosismo lo percepivano e ne risentivano specialmente i miei figli.
Evitavo di uscire con amici perché puntualmente si finiva a parlare di lavoro e la cosa non mi faceva stare bene.
Sentirsi poi dire frasi del tipo “che t’importa, quello che conta è che ti paghino”, mi feriva più di ogni altra cosa, perché era la dimostrazione che nulla e nessuno avrebbe mai compreso il mio stato d’animo.
Decisi subito di ribellarmi. Provai per circa 9 mesi a trovare un accordo con la mia azienda, a ricevere motivazioni, ma quando capii la loro totale chiusura, gli feci causa e ad oggi è ancora in corso.
Nonostante tutto, non ho mai sentito di potercela fare. Mi hanno mandata via, la causa di mobbing è ancora in alto mare e sto per iniziare quella per il licenziamento.
Credo che un’esperienza del genere sia, e resti, una violenza psicologica molto forte.
La cicatrice c’è e resterà per sempre.
A seguito di questa esperienza ho anche creato un forum, Mobbingdonna (www.mobbingdonna.it), che ho deciso di aprire gratuitamente l’8 marzo del 2012.
L’ho fatto perché nelle lunghe giornate di inattività lavorative avrei voluto tanto qualcuno con cui parlare, ma un qualcuno che mi capisse e, purtroppo, solo chi ha vissuto o sta vivendo la tua stessa tragica esperienza può farlo.
Mi ha aiutato a non sentirmi più sola. Tante sono state le persone, donne e uomini, che mi hanno scritto, che mi hanno chiesto consigli, moltissimi però in privato, forse per paura. Spero che anche qualcuno di loro in qualche modo si sia sentito meno solo”.
Da “Noi che abbiamo vissuto il mobbing”
di Sara Ficocelli
d.repubblica.it
30 aprile 2013
“che t’importa, quello che conta è che ti paghino”…
È una delle peggiori frasi che una persona mobbizzata possa sentirsi dire!
Eppure, troppi non comprendono il dolore che sta dietro una persona che subisce ogni giorno ingiustizia sul posto di lavoro…
Quel lavoro che non è altro che un suo diritto, quel lavoro su cui – Costituzione docet -, si basa la nostra repubblica…
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