Numerosi studi schematizzano il comportamento del mobber, individuando in esso tre fasi.
I Fase
Il mobber “punta” il soggetto e costruisce la propria subdola strategia. La vittima non viene mai colpita direttamente e in modo esplicito. L’azione lesiva avviene senza che il mobbizzato possa realizzare chiaramente ciò che accade intorno a lui e, sorpreso, si interroga sui propri comportamenti. Iniziano le ansie e le preoccupazioni, i sensi di colpa e di inferiorità.
II Fase
Il mobbizzato cerca spiegazioni tra i pari grado e in seguito tra i più vicini di grado superiore e, di solito, viene rassicurato.
Il disagio tuttavia cresce e così il senso di fragilità e pochezza rispetto agli altri. Iniziano i disturbi psicosomatici che via via tendono ad aggravarsi.
Il malessere sempre più evidente della vittima inizia a dare al mobber la sperata e cercata soddisfazione, il profumo della vittoria aleggia nell’aria. Egli sa che l’unica cosa da fare per mantenere la vittima in questo stato è “non fare nulla”.
III Fase
Il mobbizzato è sempre più confuso perché, nonostante sia stato rassicurato dalla negazione di attività persecutorie nei suoi confronti, il malessere e l’ansia non accennano a calare.
Comunica il suo stato a familiari e amici che spesso pensano egli soffra di manie di persecuzione e stia veramente esagerando.
Questa per la vittima è la fase della solitudine e dell’incomprensione.
Il mobber al contrario raccoglie il bottino e gode della sua vittoria.
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L’attività del mobber è quasi sempre resa possibile dalla presenza dei co-mobber.
I co-mobber sono coloro che affiancano il mobber o partecipano senza intervenire personalmente ma solo acconsentendo e fingendo di non vedere.
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Diversamente dalle molestie sessuali o da altri tipi di abusi sul luogo di lavoro, il mobbing ha sempre dei testimoni. E’ quasi impossibile che una o più persone non capiscano cosa sta succedendo alla vittima. I testimoni che non intervengono direttamente in difesa del mobbizzato vengono chiamati side-mobbers, fiancheggiatori. A volte, con omertà o disinteresse, assistono come pubblico alla persecuzione. Altre volte, per desiderio di compiacere il capo tirannico o influenzati dal clima diffuso di ostracismo nei confronti della vittima, si trasformano in mobber a loro volta.
In un certo senso i fiancheggiatosi veri non esistono perché, in quanto complici o testimoni omertosi, entrano anche loro a far parte del sistema del mobbing.
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Nell’ambito della psicologia sociale una spiegazione possibile del comportamento del mobber è il “disimpegno morale” (moral disengagement) che comporta una sorta di auto-assoluzione, una scissione tra pensiero e azione che permette al soggetto di compiere azioni eticamente riprovevoli senza avere rimorsi di coscienza né sensi di colpa (Bandura, 1999).
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Riguardo i tratti di personalità del mobber, Tim Field ipotizza 4 tipologie:
1) DISTURBO DI PERSONALITA’ ANTISOCIALE: mancata accettazione delle norme sociali, mancanza di empatia per gli altri, mancanza di rimorso, disonestà, impulsività, irresponsabilità. Spesso il disturbo antisociale è la conseguenza di un disturbo della condotta iniziato prima dei quindici anni.
2) PERSONALITA’ PARANOICA: sospetto infondato che gli altri vogliano procurare danni o sfruttare, riluttanza a confidarsi, diffidenza verso la lealtà delle persone vicine, travisamento della realtà, mancanza di perdono per dubbie offese ricevute.
3) DISTURBO NARCISISTICO DI PERSONALITÀ: sentimento di superiorità rispetto agli altri, desiderio costante di ammirazione, scarsa empatia, fantasie sconfinate di successo, esagerazione delle proprie qualità.
4) DISTURBO BORDERLINE: relazioni instabili, sensazione di vuoto, senso di abbandono, incapacità di controllare la collera, comportamenti autolesionisti, mutamenti ricorrenti di umore, spese impulsive di denaro, comportamenti rischiosi.
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Da un’intervista al professor Marco Bellani, associato di Psicologia Clinica presso l’Università degli Studi dell’Insubria e dirigente medico di Psiconcologia all’Ospedale di Circolo di Varese si evince che il mobber ha in sé diversi aspetti che possono diventare patologici una volta che ha raggiunto un certo livello di potere.
Spesso è un narcisistica insicuro che non tollera che il mondo non ruoti intorno a lui. È una persona paranoide, sempre all’erta, sospettosa, minacciosa che guarda gli altri con diffidenza, vedendoli come potenziali nemici.
Il mobber talvolta presenta una personalità passivo-aggressiva che gli permette di stare in una posizione di falsa passività. In realtà dentro sé ha un’aggressività che manifesta in modo molto subdolo e nascosto, apparentemente non esplosivo, ma capace poi di dominare gli altri. In definitiva il mobber non è una persona forte, ma un soggetto con problemi.
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Nel mobbing “uno contro uno” il mobber è prevalentemente un manager (80%). Si tratta quasi sempre di quadri intermedi o di superiori diretti delle vittime. Gli abusatori sono equamente divisi fra uomini e donne (anche se si evidenzia una tendenza alla crescita del numero delle abusatrici) e preferiscono colpire persone del loro stesso sesso.
Nel mobbing “tutti contro uno” i mobber sono più di uno, a volte tutti i colleghi. Nella stragrande maggioranza si tratta di pari grado, molto raramente di subordinati.
È abbastanza comune che all’inizio il mobber sia uno solo e che successivamente se ne uniscano altri, come in una specie di epidemia di odio nei confronti della vittima.
L’abusatore è l’interprete occasionale di una parte che gli viene assegnata. Anche se accade che ci prenda gusto, non dovrebbe essere considerato il solo colpevole. La sua opera è resa possibile dal sistema della prepotenza.
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– Il Mobber può essere considerato come un caso di disturbo narcisistico “terminale”, scarsamente permeabile all’esistenza degli altri, con ampie fantasie di successo, potere, fascino e bellezza.
Il Mobber vessa i propri sottoposti o colleghi per scopi che nascondono motivazioni psicopatologiche più profonde, le quali arrivano talvolta al sadismo praticato per il proprio piacere, anche fisico e/o sessuale.
Secondo altre indagini il mobber ha una personalità “psicopatologicamente disturbata”, che si manifesta come “disturbo narcisistico di personalità”, evidenziato dalla presenza di almeno cinque su nove delle seguenti caratteristiche:
· senso grandioso di importanza;
· assorbito da fantasie illimitate di potere;
· successo;
· bellezza;
· fascino;
· crede di essere speciale e unico e di poter frequentare ed essere compreso da persone speciali come lui o di classe elevata;
· pretende ammirazione;
· sente che tutto gli sia dovuto;
· si approfitta degli altri per i propri scopi;
· incapace di riconoscere i sentimenti e le necessità degli altri;
· invidioso degli altri o convinto che sia invidiato;
· mostra con piacere comportamenti arroganti e presuntuosi -.
da CONOSCERE E COMBATTERE I MOBBER di Vincenzo Paolillo
Chi subisce vessazioni e vive disagi lavorativi dovuti a questi “pezzi di mobber” ci rifletta.
Resistere si deve! E denunciare!
Reblogged this on i cittadini prima di tutto.
Molto interessante è questa analisi sul mobber e sui fenomeni che ruotono intorno a lui. Personalmente ritengo che il mobber abbia una personalità deviata e sia fondamentalmente un asociale.
Gli studi sono per lo più concentrati sulle vittime.
Io credo che sia fondamentale invece individuare il “tipo” del mobber sin dall’inizio e possibilmente evitare di offrire a questi individui posizioni di dirigenza.
La caratteristica che più mi impressiona nel mobber è la mancanza di senso di colpa che elimina a priori la possibilità di mettersi in discussione e capire l’errore compiuto.
Tristissimo…
Salve, ho un immemso dispiacere per questo comportamento che l’essere umano ha il coraggio di portare avanti. Anni ed anni io stesso impelagato in storie simili che quasi non ci si crede. Mai un compito, un carico lavorativo, un minimo di considerazione anche in altro ancora. E pure io ci credevo nel lavoro, in un lavoro onesto e reale. 15 anni della mia vita trascorsi nell’alienazione e nell’odio, seduto su una sedia e anche sfottuto e provocato e poi minacciato pure. Spero che chiuderanno per sempre le Provincie, luogo non di lavoro ma fucina di cattiveria e di altro ancora. Ripeto, aboliamo le Provincie e nella mia vita come in quella di tanti, ritornerà la voglia di vivere.
Ezio, temo non basterà abolire le Provincie… Questi personaggi passerebbero semplicemente ad altri incarichi.
Se non erro, tu hai denunciato…
Stanarli si deve e portarli di fronte a un giudice.
È l’unico linguaggio che possono comprendere, temo.
Si fa presto a dire stanali e portali davanti al giudice!!!! Ma vi rendete conto di quanti anni di sofferenza la vittima deve subire per arrivare davanti al giudice con i tempi della giustizia che ci sono al giorno d’oggi per non parlare del fatto che l’ONERE DELLA PROVA è tutto a carico del lavoratore che non ha grandi strumenti a sua disposizione! Si fa presto a dire DENUNCIA a parole ma vi assicuro che il percorso è difficilissimo!!!!
Ciao, Liliana! Hai ragione su tutto:anni di sofferenza, onere della prova, tempi e, aggiungerei, metodi della giustizia inaccettabili! Ma fino a quando si può subire? Ci si deve mettere in mani sicure, servono pazienza e determinazione, si deve trovare supporto da specialisti… tutto si deve tentare, tranne il rimanere soli! Non è detto che la denuncia debba necessariamente portare a una causa e a un processo…
Ti assicuro che, in questo caso e su questo argomento, non parlo o scrivo per sentito dire!
Nonostante il sostegno farmacologico e psicologico di professionisti, ho avuto due episodi di grave depressione e ne ho passate, come si suol dire, di tutti i colori: indifferenza, insensibilità e incomprensioni dei colleghi e persino dei familiari, minacce di richiami disciplinari, persino scritti ufficiali denigratori che giravano a mia insaputa sul luogo di lavoro mentre ero in malattia… e non aggiungo altro…
Scrivo tutto ciò senza timore perché di tutto esiste prova.
Chi subisce vessazioni e angherie deve, per prima cosa, tenere pazientemente un diario lavorativo in cui annotare fatti e persone presenti, data e ora.
Altra cosa importante è la richiesta di incarichi, richiami e protocolli di lavoro “scritti”…
Di fronte alle aggressioni, evitate reazioni impulsive. Meglio il silenzio e l’azione dopo riflessione…
Io, da anni, utilizzo anche l’autoipnosi. Con pazienza ed esercizio costante è un utile supporto per essere “efficaci” anche nei momenti difficilissimi.
Tutto ciò è faticosissimo, ma l’alternativa qual’è?!
La verità è che il diritto civile e del lavoro italiano è impotente e inageguato a reprimere qualsiasi violazione di diritti del singolo davanti a una persecuzione di gruppo per la semplice ragione che in Italia il diritto civile della prova è obsoleto e la pratica della giurisprudenza di merito non accenna sostanzialmente a cambiarlo. E’ un diritto che è ancora rimasto ai “testi di Toto”; i giudici di fatto preferiscono la prova testimoniale rispetto a quella documentale o tecnica; e quindi nel processo civile e del lavoro vince la parte in causa che ha più possibilità di inscenare una commedia facendo testimoniare personaggi che fanno parte di una sua clientela……E’ tipico il caso di un datore di lavoro che in un processo di lavoro fa testimoniare tutto quello che gli fa comodo a personaggi da lui “pagati”, cioè i suoi dipendenti….ma dove vogliamo andare con un diritto “clientelare” di tal fatta?!
Hai ragione, caro filosofo cinico! Il diritto non è “diritto”!!! I testimoni si pagano purtroppo e peggio, se sono a favore del “perseguitato”, si terrorizzano con lo spauracchio di essere le successive vittime…
Si riconoscono solo, quando va bene…, i danni visibili: gambe rotte, polsi e gomiti usurati…
La metodica e spesso programmata e organizzata distruzione della psiche di un lavoratore non sanguina, non è visibile agli occhi e si cataloga come “mania di persecuzione o pazzia…
Ognuno di noi ne avrebbe da raccontare…
Denunciare? A che serve? Il mobbing per i giudici è niente. Le mie denunce, nonostante prove certe, sono state quasi tutte rigettate. Ormai questo è il settimo anno, € 10000 regalati agli avvocati, è una vergogna! Posso ritenermi una sopravvissuta miracolata!
Lo so, Giuseppina, lo so… Le torture psicologiche che molti subiscono non verranno mai punite e danni come quelli di cui parliamo non hanno prezzo… Sono danni irreparabili che solo il nostro attaccamento alla vita può in qualche modo arginare.
Non so se tu abbia sentito la parole di Landini di fronte alla Polizia che ha manganellato gli operai…
Siamo un Paese in cui chi lavora, chi paga le tasse, chi è onesto viene preso a randellate…